Il cocchio

           Fin dalle antiche civiltà l'uomo ha legato la sua forza, la sua produttività, la sua ricchezza, la sua supremazia al cavallo; cavalcare è stata sempre una prerogativa maschile del signore e del guerriero. Questo rapporto dinamico e diretto con il cavallo, come strumento fisico di spostamento nello spazio, viene cambiato e intermediato dalla carrozza, che trasforma in parte il cavallo in elemento di traino e in parte gli sottrae la funzione esclusiva e dominante del trasporto di persone.

           Come è stato dimostrato da G. Gozzadini nel primo studio metodico sulla storia delle carrozze (1863), corredato da una vasta documentazione, i primi cocchi con cassa sospesa furono costruiti nella seconda metà del sec. XV nella città ungherese di Kotcze, da cui si diffusero lentamente prima in Italia e poi in Germania e in Francia. In Italia l'uso dei cocchi fu introdotto dal card. Ippolito d'Este, Arcivescovo di Esztergom in Ungheria, che ritornò a Ferrara nel 1509 con un seguito di “carettere ongaresche”, dette anche da “cozo” o “coze”. Da questo momento si diffusero rapidamente tra le varie corti la costruzione e l'uso dei cocchi fabbricati all'inizio a Ferrara e a Modena, da cui partirono anche i primi “mastri” di cocchi e di carrozze, chiamati in altre città dai vari principi italiani. L' adozione del cocchio per la sua comodità da parte dei signori creò una moda che prese sempre più corpo, anche se incontrò l'ostilità e il disprezzo del ceto dei nobili di spada, dei cavalieri.

           E' da precisare che il modello ungherese è un carro scoperto con cassone sospeso a quattro supporti ad archi metallici (“rinforzati” internamente da tre segmenti in legno) fissati all'esterno e lateralmente sui perni delle ruote; pertanto il particolare passaggio dal carro ungherese al cocchio è fondamentale e tutto ancora da studiare, cioè non è scontata la automatica trasposizione estense attestata dal Gozzadini. Infatti la trasformazione del sistema di sospensione dal tipo ungherese in quello del cocchio italiano e poi europeo è radicale: il principio rimane lo stesso, ma l'applicazione è molto differente. Infatti agli elementi in ferro si sostituiscono il legno rinforzato da contrafforti, a cui si congiungono cinghie di cuoio, innestati sulla parte longitudinale del carro; conseguentemente dal cassone ungherese si passa ad una cassa più ristretta (per lasciare posto ai supporti), e coperta da superfici di cuoio, con due accessi laterali. Il cocchio di Filippo II di Lisbona è significativo. Un altra trasformazione originale e innovativa si nota nel gruppo dello sterzo: mentre nel carro ungherese, che rimane un mezzo rustico con meccanica elementare, lo sterzo è costituito da una semplice forcella retroflessa imperniata sull'asse dell' avantreno, nel cocchio italiano-europeo lo sterzo si presenta come un sistema in cui la rotazione viene distribuita su segmenti circolari, solidali e scorrevoli per un arco di circa 30° .

           L'ulteriore trasformazione del cocchio nella carrozza avviene nella seconda metà del '600, quando all'impalcatura della cassa con pezze in cuoio si sostituisce una cassa vera e propria con forte ossatura in legno e pannellatura parimenti in legno, con conseguente vantaggio della solidità del tetto (con cielo interno) e della comodità delle portiere e dei finestrini. L'evoluzione della specie fa un salto verso il 1663. La Berlina è il modello che ebbe maggior diffusione e il maggior numero di derivazioni. Il primo esemplare fu costruito a Berlino verso il 1663 su progettazione di Filippo Chiese, o Cièze, architetto di origine piemontese al servizio di Federico Guglielmo di Brandeburgo. Secondo un'altra tradizione, che incontra altrettanti consensi, l'ideatore della Berlina fu Roubo, celebre intagliatore ebanista francese, che però è attivo nel secolo XVIII; egli senza dubbio portò le migliorie ai massimi livelli . Inizialmente era una vettura a quattro ruote con cassa sospesa a cinghioni di cuoio; all'interno erano disposti parallelamente tre doppi sedili, di cui uno nel mezzo. Le Berline tedesche e inglesi avevano quattro portiere ed erano molto più ampie di quelle francesi, che però erano più comode. Come si è visto, ancora nel secolo XVII esse erano di esclusivo appannaggio delle famiglie reali e dell'alta nobiltà di corte e venivano usate soprattutto per le passeggiate e i trasferimenti in campagna.

           Nel settecento la Berlina diventa la carrozza di gala più diffusa tra la nobiltà; si presenta in eleganti forme bombate, è dipinta in colori che talvolta riprendono quelli degli stemmi gentilizi. La struttura del carro rimane massiccia e le ruote posteriori hanno un diametro enorme , ma la doppia flèche (brancard) viene sagomata a collo di cigno nella parte anteriore per consentire alle ruote uno sterzo maggiore. La serpa, inoltre, viene posta in alto, all'altezza del tetto, in modo che il cocchiere abbia una larga visuale sopra il dorso dei cavalli. La tappezzeria interna è sempre realizzata in seta lavorata o in velluto di cotone, molto spesso rosso cremisi, altre volte blu, oppure in nero secondo il protocollo spagnolo. Durante i viaggi, data la mancanza di spazi per bagagli, la Berlina era preceduta da uno staffiere e era scortata da altre cavalcature per il trasporto dei materiali. Nell'ottocento alla Berlina furono preferiti altri modelli come il Landau e lo Stage.

           La diffusione e l'uso della carrozza

           Numerose restrizioni sull'uso del cocchio dondolante “all'ongaresca” erano state emanate dai Sovrani agli inizi della sua diffusione nel corso del cinquecento; allora infatti esso era consentito solo alle mogli dei sovrani ed era bandito dalle corti francesi e tedesche, che lo consideravano un mezzo adatto solo ad infiacchire le virtù virili e guerresche dei nobili, addestrati da sempre a cavalcare. A Parigi ad esempio verso il 1540 esistevano solo tre cocchi: uno per la regina Caterina De' Medici, uno per la potente Diana di Poitiers e uno per Giovanni De Laval, importante gentiluomo della corte, il quale era così “corpulento che non poteva più cavalcare e dovette quindi rassegnarsi all'umiliazione di “andare in cocchio come una donna”. Un'altra famosa e potente donna che si servì della carrozza, introducendone l'uso nelle Fiandre in occasione delle nozze del figlio Alessandro con Maria di Portogallo nel 1565, fu Margherita d'Austria, moglie di Ottavio Farnese e iniziatrice della costruzione del Palazzo Ducale di Piacenza. Era il primo esempio di carrozza da parata, sontuosa e meravigliosa per il largo impiego di materiali preziosi e per la ricca ornamentazione artistica.

           E' significativo che nei decenni centrali del sec. XVI nelle città italiane circolassero già numerosi cocchi: 60 a Ferrara, 30 a Bologna, 54 a Mantova, 100 a Torino. A Piacenza i cocchi erano 30 nel 1557 e 70 nel 1568; erano riservati alle nobildonne, i nobili andavano solo a cavallo. Certo esistevano botteghe specializzate, poiché un certo Gian Giacomo Navena detto il “Cimeta” nel 1608 offrì i suoi servigi al duca di Mantova come “Mastro di caroce di Piacenza” e poiché se a Piacenza viene costruita sotto la direzione di “Masto Angelo Caccialupi Piacentino” la memorabile carrozza a otto posti per le nozze di Odoardo Farnese e Margherita de' Medici nel 1629 (2 anni di lavoro, 50.000 scudi d'oro). La carrozza-cocchio è ancora un carro su cui una cassa in legno e cuoio è sospesa a cinghie collegate a supporti in legno. Ancora per tutto il '600 la carrozza seguì il modello originario, con qualche modifica volta al miglioramento della resistenza dei punti critici e con la differenziazione tra le ruote anteriori (più piccole per agevolare lo sterzo) e quelle posteriori, su cui gravava il maggior peso. Naturalmente la tecnica di costruzione delle ruote in legno a raggi era consolidata da secoli: sul ceppo centrale si immettevano i raggi chiusi da sei-otto segmenti che erano poi stretti da un cerchio in ferro posato a caldo, immediatamente raffreddato con acqua, e inchiodati.

           Nel duomo di Piacenza il Paratico dei Carradori (costruttori di carri) è rappresentato nella formella di un pilastro (metà del sec. XII). La tradizione della specialità piacentina della costruzione delle ruote è confermata nel 1629 (carrozza di Odoardo Farnese per le nozze con Margherita de' Medici) e nel periodo napoleonico (1806-1814), quando a Piacenza presso il monastero soppresso di S. Agostino, fu costituito il “Parco di costruzione degli equipaggi militari” per l'armata francese con una produzione di 1000 carri all'anno . Anche nel corso del sec. XVIII la produzione di carrozze a Piacenza era continuata a notevole livello; prova ne é un documento recentemente ritrovato sulle carrozze per la corte costruite a Piacenza: due sontuose carrozze ducali e altre quattro per il seguito delle dame e dei cavalieri. Presso le corti italiane c'è sempre la scuderia dei cavalli, di cui è responsabile il Cavallerizzo Maggiore, che sceglie, addestra e ricambia il parco animali; accanto alla scuderia è collocata la rimessa delle carrozze, con 10-15 legni in media .

           Nel 1618 nella rimessa della corte di Parma sono registrate in inventario 13 carrozze, di cui 4 per i Duchi, 4 per i principi ereditari e le altre per il seguito; inoltre accanto ad alcune sono specificate le dizioni “per la città” e “per la campagna”, che indicano non la differenza di arredo, essendo entrambi i tipi “forniti di tutto punto”, quanto invece la struttura: più grande e massiccia la carrozza di campagna, usata per passeggiate o nelle residenze estive; più contenuta e agevole la carrozza per la città. Nella scuderia c'erano, oltre ad altre cavalcature lente, 139 cavalli, di cui 39 per il traino delle carrozze. Altrettanto dotata appare la scuderia ducale di Mantova, dove in un inventario nel 1627 vengono registrati più di 30 veicoli, anche se alcuni di essi sono definiti vecchi e in disuso. La scuderia invece, attrezzata per contenere 250 cavalli, non era al completo perchè solo da qualche anno l'allevamento dei cavalli aveva ripreso il suo positivo incremento, essendo stata decimata la razza in precedenza selezionata.

           Per tornare ai Farnese va ricordato che Ranuccio II nel 1685 aveva aperto a Piacenza una grande Scuderia che serviva alla Fiera dei Cavalli, dove si compravano e vendevano cavalli di razza pura e di alta qualità.

           Nel seicento il possesso e l'uso della carrozza era ancora riservato alla ristrettissima cerchia della nobiltà gravitante attorno alla corte ducale, in quanto la carrozza era segno di appartenenza sociale, elemento vistoso dell'apparato che veniva utilizzato quasi sempre per viaggi brevi o cortei al seguito del sovrano. C'erano norme (Piacenza-Parma-Firenze), che vietavano l'uso delle carrozze a donne di facili costumi perchè potevano trarre in inganno le persone altolocate. Nel corso del seicento, oltre alla profusione del lusso, si assiste ad una progressiva estensione dell'uso della carrozza anche tra i ceti borghesi. Parigi, oltre a diventare capitale europea sotto lo splendido assolutismo dei regni di Luigi XIV e Luigi XV, è anche la prima città dove viene istituito un servizio permanente di nolo di piccole carrozze, i Fiacres, a cui segue il tentativo, pioneristico ma vano, di organizzare un servizio di “omnibus”, progettato dal celebre filosofo Blaise Pascal nel 1662. In quel periodo si diffusero enormemente le Carioles (nel 1667 se ne aggiravano un migliaio a Parigi), calessi coperti a due ruote a tiro singolo, che stazionavano nelle piazze o agli incroci e che venivano date a nolo a ore. Tale tipo di nolo, che soddisfaceva le esigenze pratiche dei piccolo-borghesi e dei bottegai, fu introdotto poi anche in alcuni stati italiani, ad esempio in Toscana.

           Ancora per la corte farnesiana, si deve ricordare il lussuoso e interminabile corteo di carrozze impiegato per la cerimonia del matrimonio di Elisabetta Farnese con Filippo V di Spagna nel 1794, immortalata nelle grandi tele di Ilario Spolverini. Una parte di quella splendida serie di carrozze si ritrovava in loco ancora nel 1736, al momento della loro alienazione per volere di Carlo di Borbone, duca di Parma e Piacenza e insieme re di Napoli. Dal documento inedito ritrovato risulta che furono vendute all'asta (4 aprile 1736) le 24 carrozze ducali per una somma di oltre 17.000 lire. C'erano un cocchio alla romana, carozze da campagna e da città, carrozze alla francese, all'italiana e alla polacca, coupé (coppé), landò alla tedesca, calessi da domare cavalli, sedie, cioè carrozze monoposto.

           I viaggi e le poste

           Una letteratura specifica sui viaggi a cavllo o in carrozza si sviluppa notevolmente a partire dai primi decenni del secolo XVI attorno a tre grandi opere enciclopediche, che vogliono offrire il massimo dell'informazione al viaggiatore-signore dell'epoca e che ebbero numerose edizioni: L'Italia illustrata di Flavio Biondo (1527), la Descrittione di tutta l'Italia di Leandro Alberti (1550) e il Ritratto delle più nobili e famose città d'Italia di Francesco Sansovino (1575). Una compilazione più tarda che incontrò molta fortuna in Europa, edita in latino ad Anversa nel 1600, poi ristampata più volte in diverse lingue e rimasta in voga fino agli inizi del settecento, è l'Itinerarium Italiae di Franciscus Scotthius, corredato di numerose piante di città. In esse, accanto alle informazioni sul territorio e sulle città direttamente raccolte durante i viaggi, vengono riprese le fonti classiche che riferiscono delle origini storiche, del territorio e dei costumi, in modo da offrire una descrizione completa e approdondita, anche se talvolta essa risulta ridondante e contradditoria.

           Nella seconda metà del secolo XVI cominciano a diffondersi manualetti pratici in formato tascabile per il viaggiatore comune. Tra questi uno che fu più volte ristampato in diversi luoghi è l'Itinerario delle poste per diverse parte del mondo (1563). Si tratta di un'opera molto significativa perchè evidenzia la vasta rete dei collegamenti stradali italiani ed europei, indica gli itinerari dotati di fermate di posta e delle fiere più importanti e descrive rapidamente le città principali; le distanze vengono date in miglia o in leghe. Il sistema delle Poste, luoghi dove potevano sostare i viaggiatori ed essere accuditi o cambiati i cavalli e i muli, è un'innovazione cinquecentesca. Nella seconda metà del cinquecento, come avviene per gli altri stati, anche nel Ducato di Parma e Piacenza viene istituito, o meglio perfezionato, il servizio delle Poste. Nel 1579, infatti, il Magistrato delle Contrade emana gli Ordini sul funzionamento delle poste, la cui gestione veniva appaltata ogni cinque anni ai “Mastri delle Poste”, che dovevano assicurare il ricambio di “cavalli buoni et recipienti e dati per quell'honesto prezzo che declararà il Magistrato di tempo in tempo”, il nolo di “carrozze ai privati” guidate da “postiglioni”, il trasporto di plichi e lettere, la riscossione del pagamento del viaggio. Gli utenti del servizio di posta erano tenuti a servirsi esclusivamente delle poste autorizzate, per cambio di cavalli e nolo di carrozze, ma potevano scegliere di alloggiare in un “hosteria” diversa da quella della posta. La durata di un viaggio veniva calcolata in numero di poste, la cui distanza intermedia era solitamente di 8-10 miglia e poteva essere percorsa in 1-2 ore ; il transito delle vetture di posta veniva annunciato in città e fuori con il suono del corno da parte del conducente e il ricorso a tale segnalazione era severamente vietato a tutte le altre vetture.

           Il secondo più antico documento reperito sulle poste farnesiane è del 16 ottobre 1582, e consiste nel testo di una convenzione di validità quinquiennale sottoscritta tra i Mastri delle Poste di Piacenza, Fiorenzuola e Borgo S. Donnino (Fidenza) e quello di Parma per passare liberamente alla posta di Castel Guelfo; in particolare il Mastro di Piacenza si obbligava a “tenere di continuo quattro Carozze alla sua Posta di Parma per uso delle persone che invierà il detto Mastro”. Ancora i Capitoli et Ordini nel 1599 ribadiscono “che tutti i cavalli, ò carozze delle Poste che capitaranno a Piacenza, siano obligati andare alla Posta, ne possino li viandanti , che vi saranno sopra pigliare cavalli, è carozze da altri”. Un altro decreto del 23 agosto 1618 precisa che i Mastri erano obbligati ad assicurare per tutto l'anno il collegamento da Piacenza e Parma e viceversa “in hore dodeci e mezzo compartite in hora una e mezo per ciascuna posta, et così la notte com'il giorno”; d'estate il tempo di percorrenza era ridotto a 10 ore con 1 ora per posta.

           Questa normativa fu gradualmente perfezionata, in rapporto all'aumento dei raggiatori e delle esigenze. Nei Capitoli et Ordini (...) per Affittare la Posta di Piacenza, Pontenuro, Fombio, Rottofredo e Castello San Giovanni del 1662 le attribuzioni del Mastro delle Poste vengono riconfermate, ma vengono ampliate; in particolare egli ha l'obbligo di tenere “per servigio di S.A.S. sempre cavalli trenta da sella, compresovi però in esso sei, quali si obbliga di tenere per servigio di Corrieri, che all'improvviso potessero capitare, come anco si obbliga sei buone carrozze, per servigio di detta A.S.”; inoltre “sia obbligato dare gratis una cavalcatura all'Aiutante del Sig. Sergente Maggiore di Piacenza ogni volta che la ricercarà”. Infine “detto Mastro di Posta sia obligato fare portare alle case tutte le lettere, che capiteranno da dispensarsi per la città di Piacenza senza eccettione alcuna”. Insomma nel corso del secolo XVII al servizio ordinario delle poste vengono aggregati quello dei corrieri e dei trasporti in carrozza autorizzati dal Sovrano e quello del servizio di raccolta e recapito delle lettere; era fatto assoluto divieto di mettere “valligie, ò tamborri sopra le selle de' cavalli senza licenza”. I Mastri di Posta avevano anche compiti di sorveglianza sull'attività del noleggio privato: “tutti quelli, che tengono cavalli da vettura” erano tenuti a denunciare almeno due volte all'anno il numero dei cavalli in loro possesso.

           Nel 1767 fu istituita una nuova figura specifica, l'Intendente Generale delle Poste “tanto delle Lettere, che dei cavalli” che doveva controllare l'efficienza del servizio e riferire direttamente al Ministro Segretario di Stato. Nel Decreto relativo venne ulteriormente dettagliato un regolamento per ribadire l'esclusiva del servizio delle lettere, l'istituzione presso gli edifici delle Poste di uffici per il Direttore delle Lettere e per i Mastri di Posta, l'obbligatorietà del servizio di osteria, il diritto di precedenza assicurata delle vetture di Posta su tutte le strade e su tutte le altre vetture.

           Già nel 1669 è documentato un servizio internazionale quindicinale di spedizioni di lettere e plichi da Roma a Madrid, passando per Milano e Lione; le diligenze caricavano a Milano le spedizioni per la Francia, la Spagna e il Portogallo, che venivano portate rispettivamente a Lione e a Madrid, dove si riceveva tutta la corrispondenza per l'Italia, che veniva poi smistata da Milano e da Roma. Queste diligenze postali impiegavano quattro giorni da Roma a Milano, altri quattro da Milano a Lione e ben undici giorni da Lione a Madrid, per un totale di 19 giorni; là rimanevano sette giorni nella bella stagione e quattro o cinque in autunno-inverno per aspettare le lettere di risposta. Nei mesi invernali il viaggio si allungava di due o tre giorni. Oltreché dal traffico ordinario del servizio di posta e dei trasporti commerciali, le strade erano percorse da corrieri e staffette straordinari, più rapidi e sicuri, che provvedevano allo smistamento della corrispondenza degli uffici governativi. La figura del corriere però, che si spostava a cavallo da una città all'altra portando lettere ufficiali della Comunità, è molto più antica e le sue competenze sono ben delineate negli Statuta Civitatis Placentiae del secolo XIV; il “currerius” aveva anche il diritto di essere aiutato dai “Magistri viarum”, in caso di necessità o di inconvenienti occorsigli, per poter concludere nel minor tempo possibile la sua ambasceria. Ma i riferimenti all'attività del “currerios” si ritrovano ancor prima in due documenti contabili dei Comune di Piacenza, risalenti al periodo della Lega Lombarda (1170 e 1179).

           Il settecento, secolo dei lumi e degli abati, è anche il secolo dei viaggiatori: il viaggio in Italia era d'obbligo per un uomo di cultura europeo, perchè era ritenuto formativo e salutare; il viaggiatore percorreva un itinerario attraverso le città più celebrate dalla letteratura artistica e di solito teneva meticolosamente un diario, in cui aggiornava la scorta di informazioni generali, e talvolta astruse, derivate dalla letteratura delle compilazioni cinque-seicentesche di tipo cosmografico. Per appagare i loro interessi culturali gli stranieri facevano il loro viaggio in Italia servendosi della loro carrozza e percorrevano gli itinerari di posta attraverso Stati e popolazioni diverse negli usi e nelle leggi e ciò comportava un aumento dei disagi e dei rischi. L'itinerario classico era Milano-Mantova-Padova-Venezia, oppure Milano-Piacenza-Parma-Bologna, per poi continuare con Firenze-Roma-Napoli; il ritorno poteva essere o lungo la costa adriatica oppure più spesso, lungo quella tirrenica, con passaggio a Lucca-Pisa, per poi imboccare la valle del Taro o quella dello Scrivia. Dai paesi germanici la via d'accesso principale era il valico del Brennero; quindi si attraversavano Verona e Venezia, da cui passando per Ferrara si arrivava a Bologna per poi proseguire per Roma e Napoli. La strada da Parma a La Spezia attraverso la valle del Taro fu completamente rinnovata a spese del Ducato farnesiano e della Repubblica di Genova nella seconda metà del secolo XVII; essa avrebbe dato la comodità “ai Francesi di venire in Toscana in carrozza”, come afferma un Ambasciatore Lucchese a Parma nel 1660. Le difficoltà maggiori, infatti, in un viaggio nascevano ai valichi, dove bisognava smontare dalle carrozze e andare a dorso di mulo, in lettiga o a piedi.

           La carrozza moderna (sec. XIX)

           I carrozzieri europei nel corso del Settecento apportarono alcune migliorie al cocchio trasformandolo in carrozza: dopo aver irrigidito la cassa trasformandola in un abitacolo chiuso con portiere e finestrini apribili, prima sagomarono le brancard in legno a collo di cigno, poi le irrobustirono con lamine di ferro, poi le sostituirono con barre di ferro forgiato ricurvo per ottenere maggiore resistenza e stabilità.

           Il ricorso agli elementi portanti in ferro è determinante per la carrozza moderna. I montanti in legno per le cinghie di sospensione della cassa furono sostituiti verso la metà del XVIII sec. da molle (piccole barre di ferro ad alto tenore uniti insieme ed elastici a forma di un arco di cerchio) prima a forma di “S”; successivamente verso gli anni Ottanta del '700 furono applicate le molle a “C”, che rendevano la sospensione delle cinghie molto più flessibile; esse furono poi installate con una ruota dentata per il tensionamento delle cinghie. Per l'Encyclopédie le molle a”C” fu un'invenzione francese, ma c'é ancora da ricercare la specifica carrozzeria che le adottò.

           La rivoluzione tecnica avvenne con l'invenzione delle molle ellittiche (Obadiah Elliot, 1804), che consiste in balestre di fogli di acciaio contrapposte e imperniate, un doppio arco su cui si poteva posare la cassa.. Per la verità il precedente significativo era il sistema di sospensione della “Diligence à l'anglaise”, formato da un'anomala balestra trasversale fissata al fondo della cassa e collegata con cinghie a montanti in legno: era la competenza del sistema originario e antiquato del cocchio e della versione parziale dell'elemento moderno. Dunque l'invenzione di Elliot rivoluzionò la meccanica e conseguentemente l'assetto della carrozza. I tempi erano maturi per la seconda grande invenzione: in prmo luogo rendere la cassa compatta (posto di guida e palchetto-bagagliaio) e portante in secondo luogo eliminare le flèches longitudinali per una maggior stabilità, con abbassamento della cassa rispetto al terreno e con molleggi relativamente indipendenti. Lord Brougham, cancelliere dello Scacchiere, fece trasformare il suo coupé tradizionale in una carrozza con scocca portante e omogenea, con accesso esterno a uno scalino fisso: il nuovo modello a due posti, agile e veloce, prese il nome da lui, in italiano brumista era il conducente di brum, carrozze di pubblico servizio. La stessa “diligence a l'anglaise” diventa Stage, Mail coach o Private drag (attacco privato) per uso familiare. Conseguentemente anche lo spazio interno si rendeva più confortevole e ampio, spostando all'esterno la scaletta d'accesso, con due gradini, ripieghevoli; la tappezzeria in stoffe pregiate o velluti lasciava il posto alle pelli, più robuste, con possibilità di manutenzione periodica. Si inventò il freno anteriore e posteriore, che consentiva di percorrere salite e discese con sicurezza, senza sfiancare i cavalli, e compariva quindi anche la figura dell'assistente al cocchiere che ormai si chiamava postiglione. Si aggiunsero i fanali fissi a petrolio con parabole riflettenti per il davanti e i lati, che sostituirono le lanterne o le fiaccole. Infine comparirono le ruote con rivestimento in gomma, a partire dall'invenzione della vulcanizzazione della forma (Good Year, USA, 1839).

           Dunque tra il 1830 e il 1850 la carrozza moderna si diffonde notevolmente negli strati borghesi, l'insieme diventa un mezzo di trasporto pubblico di grandissima importanza commerciale e culturale. Si diffonde moltissimo il “landau” (in francese landò, termine che viene adottato anche in Italia), cioè la berlina convertibile con due capote a mantici apribili; dovunque nelle città, sui boulevard o nei parchi, si incrociano centinaia di carrozze scoperte a due o a quattro posti: la Victoria; (una specie di coupé del landau e quindi landaulet) modello molto fortunato, inventato dal carrozziere inglese Cooper per il principe di Galles nel 1869 per la sua visita a Parigi e dedicato alla regina Vittoria. Essa aveva preso il posto della gloriosa e raffinata Calèche o Barouche della prima metà del secolo, una specie di berlina scoperta e alleggerita. Insieme ad essa il Vis-à-vis, il massimo per la passeggiata e la conversazione (splendido in versione liberty e in verde scuro quello di Cesare Sala di Piacenza). Infine spuntano i Gig inglesi, le carrozze a due ruote guidate direttamente dal proprietario, che non ha più bisogno di personale addetto e si gode la guida. Nasce anche un'altra carrozza da trasporto pubblico, l' Hamsom-Cab a due posti con cassetta di guida posteriore rialzata sulla cassa; velocissima ed estremamente maneggevole era molto diffusa nelle metropoli industriali inglesi.



* Le immagini raffigurano: Formella del Paratico dei carradori, Duomo di Piacenza, XII secolo; Costruzione delle ruote,, Encyclopédie des Sciences, des Arts et des Métries, 1771.