Madonna adorante il figlio con S. Giovannino Alessandro Botticelli
Madonna adorante il figlio con S. Giovannino
1483-1487, tempera all'uovo su tavola tonda di pioppo (cm. 96,5)
con cornice lignea dorata largh. (cm 13,5)

Proveniente dal Castello di Bardi (Parma), dove era collocata fin dal 1642, è appartenuta alla famiglia piacentina del Landi, passando poi al Duca Ranuccio II, che la acquistò nel 1682. Nel 1860 passato il castello al Demanio del Regno di Italia, il sindaco di Piacenza conte Faustino Perletti lo ottenne per la città, mentre si stava trattando la cessione gratuita del complesso monastico lateranense di S.Agostino di Piacenza, per istituirvi la scuola di cavalleria.
La prima attribuzione al Botticelli fu di B. Pollinari, maestro di pittura all'istituto Gazzola, fin dal 1880; nel 1902 fu esposto alla Mostra di Arte Sacra e fu visto da Adolfo Venturini, che ne confermò l'attribuzione al Botticelli e curò il primo restauro. Il terzo e ultimo restauro fu eseguito nel 1957-1958 all'istituto centrale del restauro di Roma sotto la direzione di Cesare Brandi a con la collaborazione di Giovanni Urbani. Sulle condizioni attuali ha scritto un commento Alfio del Serra (1988) restauratore della Primavera e della Nascita di Venere.
L'opera rappresenta la Madonna che adora inginocchiata il figlio, adagiato sul suo ampio mantello sopra un fascio di rose recise, in un prato di erbetta, con ai lati due cespugli di rose fiorite; il S. Giovannino è contrapposto alla Madonna e, con un succinto vestito di pelle di capra e un mantello rosso, sta inginocchiato, con le braccia aperte in segno di stupita venerazione e con la croce di giunco. Il paesaggio centrale degrada fino all'orizzonte ed è segnato da un torrente, qualche pianticella e un'alta montagna a picco; la profondità è suggerita da variazioni tonali grigie e marroni, che sfumano nel chiarore dell'azzurro del cielo.
Alla base del tondo l'ambientazione naturalistica viene delimitata da una finta cornice in legno rettilinea bianca sotto la quale si legge la scritta a caratteri d'oro: QUIA RESPESIT HUMILITATE ANCILE SUE. La realizzazione sicura del disegno e degli incarnati della Madonna e del Bambino è di altissima qualità e il volto di S. Giovannino con capigliatura a caschetto rientra nettamente nel tipo efebico dei fanciulli e degli angeli del Botticelli. Le velature (velo della Beata Vergine, nimbi) sono sottili e diafane, lontane da quelle più consistenti di Filippo Lippi, suo primo maestro. Anche le dorature sono estremamente contnute e distribuite nel tenue ricamo ai bordi del manto e nei piccoli raggi attorno al bambino, che hanno il valore di delicate luminescenze. La figura della Madonna pia e umile ha le caratteristiche ricorrenti e inconfondibili di quelle del Botticelli del periodo di mezzo. Il gesto del Bambino è piuttosto inconsueto, anche se naturalissimo ed è stato interpretato da alcuni (Mesnil) come un motivo influenzato dal verismo dell'arte fiamminga diffusa a Firenze nella seconda metà del quattrocento. Tale gesto potrebbe tuttavia sottointendere un significato molto più complesso, che autorizzerebbe ad ipotizzare qualche circostanza relativa al soggiorno romano del Botticelli (1481-1482), che opera a fianco del Perugino nella Cappella Sistina autore del dipinto rappresentante la circoncisione del figlio di Mosè: il tondo piacentino alluderebbe alla avvenuta circoncisione di Gesù come discendente della tribù di David.
La cornice dorata è da considerarsi pertinente alla tavola dipinta sia per la perfetta aderenza e per il richiamo dei significati allegorici dei frutti rappresentanti (fertilità, vitalità, eternità) sia per la descrizione degli inventari antichi. Un tale capolavoro d'intaglio e con doratura in lamina e laccatura verde (di cui rimangono tracce) di notevole valore venale, non poteva non uscire da una bottega illustre.

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